La rivincita di Yanez by di Emilio Salgari

La rivincita di Yanez by di Emilio Salgari

autore:di Emilio Salgari [Salgari, di Emilio]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-07-24T20:42:07.010399+00:00


CAPITOLO X

IL «GURÚ»

- E i cavalli come vanno? - chiese Kammamuri.

- Sono sfiniti - rispose il rajaputo - e non so se dureranno ancora una mezz'ora. I loro polmoni soffiano come mantici, ed i loro fianchi pulsano febbrilmente. Non ne possono piú.

Io credo che con queste bestie non giungeremo mai sugli altipiani di Sadhja.

- Non hai fatto una bella scoperta - rispose Kammamuri. - Per salire lassú, ci vorrebbe un buon elefante.

- Dove trovarlo?

- Ve ne sono molti di selvaggi nelle foreste di questo vasto impero. Va' a prenderne uno, educalo in modo che ti obbedisca subito...

- Per perdere qualche mese, sahib?

- Anche tre, mio caro - rispose il maharatto. - Sicché saremo costretti a tirare innanzi con queste povere bestie che sono ormai bolse.

Non so che cosa dire. Tutte le divinità dell'India proteggono quel furfante di Sindhia... Ah, là!

- Che cosa c'è?

- Una piccola pagoda.

- Una pagoda in questi luoghi?

- L'ho veduta, e basta.

- Sarà abitata?

- Andremo a vedere. Mi pare d'aver veduto un piccolo getto di luce riflettersi forse su un vetro.

- E ci fermeremo?

- Non vedi che i cavalli non si tengono piú in piedi? Ancora un po' che corrano, e noi li vedremo morire.

- Fa' come vuoi, sahib, - rispose il rajaputo sempre remissivo.

Sul margine della jungla era comparso improvvisamente un edificio altissimo, a piú piani, di forma rettangolare. Non poteva essere che un tempio, poiché nessun villaggio poteva trovarsi in quel luogo.

Incontrare delle pagode anche in mezzo alle folte jungle è una cosa abbastanza comune in India. Se non sono pagode, sono moschee, le quali per altro si trovano piú numerose verso occidente, nei dintorni di Benares la santa.

Kammamuri rallentò la corsa e si diresse verso la pagoda, a una finestra della quale, al secondo piano, brillava un lume.

I poveri animali si avanzarono a piccolo trotto, soffiando e nitrendo lamentosamente, poi tutti e due caddero, quasi nello stesso tempo, spezzando le stanghe della vettura.

- Morti? - chiese il rajaputo, saltando lestamente a terra.

- Non potranno ormai che servire da cena agli sciacalli - rispose il maharatto con voce alterata. - È finita. Siamo senza bestie.

- Hanno resistito abbastanza.

- Potevano resistere un po' di piú!

Accendi il fanale, e andiamo a chiedere ospitalità ai sacerdoti di questa pagoda.

- Io trovo che tutto va di male in peggio. Il Maharajah poteva rimanere nelle cloache. I banditi di Sindhia non avrebbero mai osato di andarlo a scovare.

- E che cosa davi tu intanto da mangiare agli elefanti ed ai cavalli. Il tuo immenso turbante che non è nemmeno composto di paglia?

- Io sono sempre una bestia piú grossa d'un rinoceronte, sahib - rispose il rajaputo, il quale aveva acceso il fanale.

Presero i pochi biscotti che ancora rimanevano, due bottiglie di birra, le ultime, presero le carabine, e dopo essersi ben accertati che i cavalli non davano piú segno di vita, salirono la gradinata della pagoda, assai ampia e decorata da certi leoni di pietra, che parevano piuttosto animali immaginari, e si arrestarono dinanzi ad una enorme porta di bronzo tutta scolpita.



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